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Lolita
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Cercando Lolita
Cosa si potrebbe dire di Lolita che non sia già stato detto? Per esempio, che bisogna leggere Lolita. Non solo perché è un capolavoro (il che dovrebbe già essere sufficiente), ma anche perché uno non sa cos’è Lolita fino a quando non legge Lolita. Uno crede di saperlo, perché crede di conoscerne la storia – avrà visto il film di Stanley Kubrick, del 1962, oppure quello di Adrien Lyne, del 1997 – ma non è così: per capire Lolita bisogna leggere Lolita. Punto e basta. Sugli adattamenti cinematografici del romanzo ci sarebbero da scrivere tesi di dottorato ed articoli. La sceneggiatura del film di Kubrick porta la firma di Nabokov, che venne pure candidato all’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale. (Vinse quella del Buio oltre la siepe, che venne preferita non solo a Lolita, ma anche a Lawrence d’Arabia, Anna dei miracoli e David & Lisa: che annata eccezionale, il ’62!). In realtà, ben poco è rimasto di quella sceneggiatura, che venne rimaneggiata, se non riscritta quasi interamente da Kubrick stesso assieme al fedelissimo James Harris, stretto collaboratore dei suoi primi film. Le differenze col romanzo sono notevoli e cominciano già dall’impianto narrativo. Il film di Kubrick, infatti, comincia ‘dalla fine’: tutto il film non è che un flashback del professor Humbert Humbert. Il cambiamento più rilevante, però, riguarda la caratterizzazione fisica di Lolita. Per il ruolo della ninfetta Kubrick sceglie Sue Lyon, che all’epoca aveva 14 anni e non 12 come la Lolita del romanzo. Per giunta, ed è questo ciò che conta, ne dimostrava almeno un paio di più. Bionda, formosa, ‘formata’, la Lyon incarnava il prototipo della bellezza americana. Kubrick, per ragioni più che ovvie, non poteva mica mettere nel cast una vera dodicenne e, in modo da realizzare una storia così sordida per il cinema, dovette fare i salti mortali, vere e proprie acrobazie di fronte al tribunale, severissimo!, della censura. Tanto disse e tanto fece che, alla fine, riuscì a portare sul grande schermo Lolita, ma a che prezzo? Nel film di Kubrick, la relazione fra Humbert Humbert e Lolita sembra quella fra un uomo di mezza età che si innamora di un’adolescente che, con un po’ di rossetto, avrebbe potuto benissimo passare per maggiorenne. In breve, non solo il personaggio di Lolita viene mal rappresentato, ma quello di Humbert Humbert viene totalmente distrutto: avendo sepolto la ‘ninfetta’ sotto una coltre di apparente semi-adultità, nulla rimane del perverso ‘amante delle ninfette’, colui che rifuggiva le forme femminili, le cosce abbondanti, i petti strabordanti, preferendo le braccia sottili, i fianchi stretti, i seni appena sbocciati. Né permane, nel film di Kubrick, una minima traccia del vissuto complesso (e psicotico) di Humbert Humbert. Il film venne (giustamente) criticato all’uscita. Kubrick stesso disse che, forse forse, sarebbe stato meglio non farlo. Poi, con gli anni, è magicamente diventato un ‘capolavoro’, specie per tutti gli specialisti di cinema di internet, per i quali Kubrick è il più grande regista mai vissuto, anzi l’unico, ovvero l’unico che conoscono loro. E pazienza. Anche il film del 1997 di Adrien Lyne, alla sua uscita, venne pesantemente criticato. Innanzi tutto, perché «Non c’è paragone col film capolavoro di Kubrick, che è appunto un capolavoro» (come dicono i già citati specialisti di cinema di internet, per i quali bisogna sempre cercare il paragone per poter poi affermare, diciamo intelligentemente, che in fin dei conti di paragoni non ce ne sono). Ma anche per altri motivi (diciamo più reali, ecco). La sceneggiatura del film di Lyne è notevolmente più fedele al romanzo di Nabokov. In questa trasposizione cinematografica, Humbert Humbert non è un tizio qualsiasi che ha il classico colpo di fulmine guardando una bonazza bionda che prende il sole in giardino. Ha un passato traumatico alle spalle, che viene giustamente fatto presente. Inoltre, l’attrice scelta da Lyne, Dominique Swain, nonostante fosse una diciassettenne all’epoca delle riprese, è fisicamente molto più somigliante alla Lolita del romanzo di quanto non lo fosse Sue Lyon. Essendo, poi, che Lyne girava alla fine degli anni Novanta, e non all’inizio degli anni Sessanta, ha potuto permettersi certe libertà che sarebbero state censuratissime ai tempi di Kubrick. Ma se Lyne rimane fedele ai personaggi ed alla ‘trama’ del libro, ne tradisce lo spirito. O forse non lo comprende. L’ossessione di questo regista sono gli ‘amori tormentati’, con una predilezione per quelli in cui il ‘tormento’ diventa ‘perversione’. È questo un tema che Lyne ha affrontato nelle sue pellicole più iconiche: Attrazione Fatale, Nove settimane e mezzo, Proposta Indecente, L’amore infedele – pellicole non sempre eccellenti, specie le più recenti, ma che hanno sempre fruttato parecchio al botteghino. Quando racconta queste storie, Adrien Lyne è nel suo elemento naturale. Il suo tragico errore è stato quello di aver trasformato una storia di abusi e manipolazione in una storia d’amore tormentata; cioè, nell’ennesimo ‘film di Adrien Lyne’. La romanticissima colonna sonora di Ennio Morricone maschera ulteriormente il nucleo ‘criminale’ della storia. Spirito o non spirito, fedeltà o non fedeltà, la storia di Lolita comunque la conosciamo tutti, i film ce li siamo visti, quindi, perché leggerlo? Perché il romanzo rimane insuperato ed insuperabile. La storia di Humbert Humbert è ricca di dettagli, che di tanto in tanto emergono attraverso una serie di ricordi confusi e convulsi. C’è un’infanzia, nella vita di Humbert Humbert, c’è stata persino una prima moglie. C’è pure una donna dopo Dolores/Lola/Lolita. Soprattutto, Humbert Humbert ha una voce che nessun voice-over cinematografico riuscirà mai a catturare. Colto, ironico, spesso cinico e sarcastico, Humbert Humbert ammalia, diverte, ipnotizza, seduce. Mente, Humbert Humbert: mente spudoratamente, sapendo di mentire. Rigira la frittata (ed il lettore) come vuole lui. Compie atti disgustosi, immorali ed imperdonabili, ma alla fine ti fa credere che lui non ha nessuna colpa. La sua perversione e la sua crudeltà non conoscono limiti, eppure continua a parlare come se fosse un angioletto. Addirittura, fa passare la vittima per seduttrice: è colpa di Lolita, se lui ha abusato di lei. Per anni. Ovvio… Humbert Humbert ha distrutto la vita di Lolita e riesce tranquillamente a dormire la notte. Parla, parla, parla del suo amore per Lolita, ma in realtà, come tutti i narcisisti patologici, parla solo ed esclusivamente di sé stesso. È solo verso la fine del libro che Humbert Humbert sembra capire. Sembra accorgersi che Lolita esiste, è una persona. Forse capisce. Forse, addirittura, si pente. Ma solo quando è troppo tardi. Racconta, Humbert, in uno degli ultimi capitoli, di quando vide il volto di Lolita riflesso nello specchio del bagno di un motel, “un’espressione sul suo viso… non riesco a descriverla con precisione… uno sguardo di smarrimento così totale che pareva sfumare nel sollievo della stolidità, perché quello era proprio il limite estremo dell’ingiustizia e della frustrazione, e ogni limite presupponeva qualcosa che stia oltre – da qui quella luce neutra sul viso. E se tenete a mente che quelle erano le sopracciglia inarcate e le labbra dischiuse di una bambina, potrete valutare meglio quali abissi di carnalità calcolata, quale riflessa disperazione mi trattenessero dal caderle ai cari piedi e lì dissolvermi in lacrime umane, sacrificando la mia gelosia a qualunque piacere Lolita sperasse di trarre dalla frequentazione di ragazzini sporchi e pericolosi in un mondo esterno che per lei era reale”. Ed ecco che, in poche righe, Nabokov ha spazzato via dal romanzo e dalla mente di Humbert Humbert i viaggi in macchina per l’America, le liti, le riconciliazioni, le caramelle, i milk shakes ed i gelati. Poche pagine più in là, Humbert Humbert ricorda di quelle rare volte in cui si accorgeva che Lolita potesse addirittura avere una sua vita interiore e mentale, pensieri
LO – LI – TA
“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un breve viaggio di tre passi sul palato per andare a bussare, al terzo, contro i denti. Lo-li-ta. Era Lo, null’altro che Lo, al mattino, diritta nella sua statura di un metro e cinquantotto, con un calzino soltanto. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea punteggiata dei documenti. Ma nelle mie braccia fu sempre Lolita”. In un’intervista data a Life nel 1964 Nabokov disse: «tra tutti i libri che ho scritto, Lolita è quello che mi ha dato più gioia, forse perché è il più puro, quello più costruito e inventato da un punto di vista narrativo. Probabilmente però io sono la causa per cui i genitori hanno smesso di chiamare le loro figlie Lolita. Dal 1965 in giro ci sono molti barboncini che si chiamano così, ma pochi esseri umani». Tale e tanto è stato il successo di questo romanzo, che a partire da esso, infatti, il termine “lolita” è diventato di uso comune nella cultura di massa e nel linguaggio a indicare una giovanissima sessualmente precoce o comunque attraente, anche per la complicità della trasposizione cinematografica operata da Stanley Kubrick. Scritto in cinque anni, dal 1948 al 1953, Nabokov non riusciva a pubblicarlo e la storia delle successive pubblicazioni è stata a lungo accompagnata da quella delle sue ripetute e disparate censure. Fu pubblicato negli Stati Uniti da un casa editrice erotica nel 1955. Il romanzo, nella forma del diario postumo del professor Humbert Humbert, racconta l’ossessione semi-incestuosa di un docente di letteratura francese nei confronti di una ragazzina di 12 anni, fu pubblicato per la prima volta nel 1955. Questi, che è la voce narrante del romanzo, ovvero l’autore delle memorie, dopo un matrimonio finito male, decide di trasferirsi a Ramsdale, una piccola città del New England. Affitta una stanza a casa di una donna sua coetanea, Charlotte Haze, e perde completamente la testa per la figlia dodicenne di lei: Dolores. Tra i due si crea un rapporto particolare, di estrema complicità, che contribuisce ad alimentare ancora di più l’ossessione di Humbert, fino al punto in cui deciderà di mettere in atto un piano: sposerà la madre di Lolita e alla sua morte diventerà patrigno della bambina. Questa si rivela una giovane sessualmente disinibita e maliziosa, con i contorni del mistero, ma resta una figura fugace e inafferrabile, sempre foriera di bugie. Stefano Bartezzaghi ha definito questo personaggio come l’enigma meglio riuscito fra quelli creati da Nabokov. Il male ci appartiene ed è innato a ognuno, come parte costitutiva della natura umana. Quando diciamo che un comportamento è “cattivo”, intendiamo censurarlo e condannarlo con etichetta pubblica. Eppure affermare che una condotta pertiene al regno del male serve semplicemente a nominarla e non a spiegarla. Per di più, come spesso accade, il malfattore, pur consapevole dell’erroneità della sua condotta, risale nel suo vissuto a giustificarla. Questo non solo in cerca di comprensione per il comportamento esecrabile, ma anche per motivarne la ripetizione ossessiva come in un gioco. “Una sua simile l’aveva preceduta? Ah sì, certo che sì! E in verità non ci sarebbe stata forse nessuna Lolita se un’estate, in un principato sul mare, io non avessi amato una certa iniziale fanciulla. Oh, quando? Tanti anni prima della nascita di Lolita quanti erano quelli che avevo io quell’estate. Potete sempre contare su un assassino per una prosa ornata. Signori della giuria, il reperto numero uno è ciò che invidiarono i serafini, i male informati, ingenui serafini dalle nobili ali. Guardate questo intrico di spine.” Così il professor Humbert, coadiuvato da una narrazione in stile prosastico, cerca di accaparrarsi la simpatia e il favore del lettore, risalendo alla morte prematura per tifo del suo primo amore adolescenziale: Annabel Leigh. Così il lettore rinviene anche tracce di delirio, come quando architetta l’eliminazione della moglie Charlotte o quando cede a raccontare l’esaurimento nervoso e i ripetuti ricoveri e passaggi sui lettini psichiatrici. Parimenti, secondo la critica qui emergerebbe anche la passione dell’entomologo, che collezionando farfalle cerca di fermare la bellezza nel tempo. Humbert è convinto di fermare il tempo quando rinviene in Lolita l’essenza di ninfetta scoperta in Annabel. La guardai. La guardai. Ed ebbi la consapevolezza, chiara come quella di dover morire, di amarla più di qualsiasi cosa avessi mai visto o potuto immaginare. Di lei restava soltanto l’eco di foglie morte della ninfetta che avevo conosciuto. Ma io l’amavo, questa Lolita pallida e contaminata, gravida del figlio di un altro. Poteva anche sbiadire e avvizzire, non mi importava. Anche così sarei impazzito di tenerezza alla sola vista del suo caro viso. Il tentativo disperato di fermare il tempo sembra possibile quando la carica dell’amore giovanile e reincarnato sembra sopravvivere alla sopraggiunta maturità della ragazzina. Così si apre lo spiraglio delirante del vagheggiamento di un matrimonio possibile a completare la cornice di un racconto che vorrebbe passare per la storia di un amore precoce. Infine il romanzo è costellato di sapienti enigmi. Ne sono esempio gli anagrammi dei nomi. Circolo della Lettura ‘Barbara Cosentino’ – Roma
Leggetelo, vi stupirà
Lolita è un romanzo su un tema scabroso, un viaggio nella mente malata di un pedofilo. Ma non ha niente di scabroso, e proprio in questo sta la grandezza dell’opera, la sorpresa di fronte alla quale si verrà a trovare il lettore. Ogni capitolo è un’invenzione, una perla di grande scrittura. Dall’infanzia del protagonista in cui emergono le origini della sua passione per le ninfette, al suo primo incontro con Lolita e con sua madre, agli stratagemmi messi in atto per tenere legata a sé la bambina, alla descrizione dei motel e dei luoghi visitati nei lunghi viaggi in macchina, alla pianificazione dell’omicidio. Nessuna scena scabrosa, tutto ciò che di terribile accade è lasciato intendere ma non viene mai esplicitato. Tutto è visto e vissuto dalla soggettiva della mente del protagonista, con il quale con grande sorpresa a volte ci si può trovare (a me è successo), lasciandosi trasportare dalla bellezza della scrittura, a provare anche empatia. È stata una lettura molto al di sopra delle aspettative. Nonostante mi fosse stato consigliato a lungo e da molte persone avevo sempre rimandato la lettura di Lolita per una reticenza forse ingiustificata. E alla fine devo dare ragione a chi me ne ha sempre parlato come di un capolavoro. L’opera di uno scrittore con il tocco magico.
Lolita: 8
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Letters to Véra
Miglior Prodotto #3
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Meraviglioso
Il libro è meraviglioso, le lettere più belle mai lette in vita mia. Lo avevo nel carrello da mesi e finalmente l’ho comprato facendo davvero bene! E’ in inglese, non esiste ancora la versione in italiano. Spedizione amazon prime in anticipo di un giorno, sempre perfetti.
Most amazing love letters ever!
Not disappointed at all by Nabokov. You will read the most amazing and moving words that only a great love can manifest. Also use it to inspire yourself to write more to your loved ones.